L'altra via era quella di trascurare le isole e di gettarsi senz'altro con tutte le forze sull'Africa, non gią all'impazzata, come aveva fatto Agatocle, facendo incendiare dietro di sč le navi e riponendo tutte le sue speranze della vittoria in un branco di disperati, ma assicurando le comunicazioni dell'esercito invasore coll'Italia per mezzo d'una flotta imponente; in questo caso essi potevano sperare una pace a patti ragionevoli calcolando sulla costernazione dei nemici dopo i primi successi, oppure, se occorreva, costringere con una campagna formale il nemico ad una completa sommissione.
I Romani preferirono il primo, meno rischioso e pił cauto. L'anno dopo la battaglia di Milazzo (495=259) il console Lucio Scipione prese d'assalto il porto di Aleria in Corsica (noi possediamo ancora la lapide sepolcrale di questo generale, la quale accenna a simile fatto) e ridusse la Corsica ad una stazione marittima contro la Sardegna. Ma andņ poi fallito un tentativo di stabilirsi in Olbia, posta sulla costa settentrionale della Sardegna, poichč la flotta mancava di truppe da sbarco. L'anno 496=258 il tentativo fu ripetuto con miglior esito ed i luoghi aperti posti sul litorale furono saccheggiati; ma i Romani non vi si poterono stabilire.
Non pił lentamente andarono le cose in Sicilia. Amilcare conduceva la guerra con energia e destrezza, non solo colle armi per terra e per mare, ma anche con intrighi; ogni anno si staccava dai Romani qualcuna delle tante piccole cittą interne ed era necessario riprenderle ai Cartaginesi con molti sacrifici; e nelle fortezze del litorale i Cartaginesi vi si mantenevano non molestati, particolarmente nel loro quartier generale di Palermo e nella loro nuova piazzaforte di Trapani, ove Amilcare aveva fatto trasportare gli abitanti di Erice come luogo pił agevole a difendersi dalla parte del mare.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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