Le truppe sbarcarono senza molestia e si stabilirono fortemente sulla collina; in breve fu pronto un campo navale trincerato e l'esercito di terra potè cominciare le sue operazioni.
Le truppe romane percorrevano il paese taglieggiando con minaccia di metterlo a ferro ed a fuoco; oltre 20.000 schiavi furono condotti a Roma. In grazia di geniali trovate riuscì subito e con minimi sacrifici il piano temerario; si credeva di aver raggiunta la mèta.
Come i Romani si sentissero sicuri della riuscita lo prova la determinazione del senato di richiamare in Italia la maggior parte della flotta e la metà dell'esercito; Attilio Regolo rimase in Africa con 40 navi, 15.000 fanti e 500 cavalieri.
Una simile fiducia non parve esagerata. L'esercito cartaginese, che, scoraggiato, non ardiva presentarsi in aperta campagna, ricevette una solenne sconfitta nei boschi, tra i quali esso non poteva servirsi delle migliori sue armi: la cavalleria e gli elefanti. Le città si arresero in massa, i Numidi si sollevarono e invasero per una grande estensione il paese aperto.
Regolo poteva abbandonarsi alla speranza di cominciare la prossima campagna coll'assedio della capitale, al quale scopo egli aveva posto il suo quartiere d'inverno a Tunisi, luogo non lontano da Cartagine.
Il coraggio dei Cartaginesi era infranto; essi chiesero la pace.
Ma le condizioni poste dal console, di cedere non solo la Sicilia e la Sardegna, ma di stringere con Roma una lega disuguale, in forza della quale i Cartaginesi sarebbero stati costretti a rinunziare ad avere una propria marina da guerra e a fornire navi per combattere le battaglie dei Romani - condizioni che avrebbero messo Cartagine a livello di Neapoli e di Taranto - non erano accettabili finchè i Cartaginesi avevano ancora in armi un esercito e una flotta, e la capitale non si mostrava affatto avvilita.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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