La massa principale, attaccata di fronte dagli elefanti, ai lati ed alle spalle dalla cavalleria, si ordinò bensì in quadrato e si difese eroicamente, ma alla fine le file serrate furono rotte e sbaragliate.
La vittoriosa ala sinistra si scontrò col centro dei Cartaginesi, e la fanteria libica, ancora fresca, le preparava egual sorte. In terreno aperto e incalzati dalla cavalleria vittoriosa, tutti quelli che avevano sostenuto il peso della battaglia furono tagliati a pezzi o fatti prigionieri, e solo duemila uomini, forse, delle truppe leggere e dei cavalieri che primi erano andati in rotta mentre le legioni romane si lasciavano uccidere intorno alle insegne, poterono arrivare, non senza fatica, a Clupea.
Tra i pochi prigionieri v'era il console stesso, il quale poi morì in Cartagine. Sospettando ch'egli non fosse stato trattato dai Cartaginesi secondo le consuetudini della buona guerra, la sua famiglia si vendicò su due nobili prigionieri cartaginesi nel modo più rivoltante, cosicchè gli schiavi stessi ne ebbero compassione e, su loro denunzia, fu dai tribuni fatta cessare quella vergogna(8).
Quando a Roma pervenne la terribile notizia, il primo pensiero fu naturalmente quello di salvare le truppe chiuse in Clupea. Una flotta di 350 navi mise immediatamente alla vela, e, dopo aver riportata una bella vittoria presso il capo Ermeo, dove i Cartaginesi perdettero 114 navi, arrivò a Clupea in tempo per liberare dalla fine i residui dello sconfitto esercito che si erano riparati dietro quei baluardi.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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