Panormo divenne d'allora in poi una delle principali stazioni dei Romani in Sicilia.
Ma per terra si guerreggiava fiaccamente: i due eserciti si erano ridotti intorno a Lilibeo; i duci romani, che non sapevano come difendersi contro la massa degli elefanti, non fecero alcun tentativo per venire ad una battaglia risolutiva. Invece di approfittare della fortuna propizia in Sicilia, i consoli preferirono attendere l'anno seguente (501=253) per fare una spedizione in Africa, non già per sbarcarvi, ma solo per compiervi una scorreria e mettere a taglia e a sacco le città del litorale.
L'impresa non incontrò molte difficoltà, ma dopo che essi, nelle acque della piccola Sirte, non conosciute dai loro piloti ebbero incagliato nei bassifondi, dai quali si disincagliarono a fatica, la flotta fu colta tra la Sicilia e l'Italia da una tempesta, nella quale andarono perdute 150 navi romane; e anche questa volta i piloti erano stati costretti dai consoli ad attraversare il mare aperto per andare da Panormo ad Ostia invece di costeggiare, come essi pregavano ed ammonivano per le condizioni del tempo.
I senatori a questa notizia, scoraggiati, decisero di ridurre la flotta a sole 60 vele e di limitare la guerra marittima a difender le coste e scortare le navi mercantili.
Per buona sorte la guerra, che fino allora si era condotta fiaccamente in Sicilia, prese a un tratto una piega più favorevole. Dopo che nell'anno 502=252 erano venute in potere dei Romani Thermae, ultima località posseduta dai Cartaginesi sulla costa settentrionale, e l'importante isola Lipara, il console Gaio Cecilio Metello riportò l'anno seguente una splendida vittoria sull'esercito cartaginese, o piuttosto sugli elefanti (estate 503=251), sotto le mura di Panormo.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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