La spedizione di Regolo ci prova come i Romani fossero persuasi che tutto dipendesse dalla superiorità della tattica. Non è facile trovare un generale che la fortuna abbia favorito con tanti accidenti propizi, quanto Regolo; esso si trovava nel 498=256 appunto nelle condizioni in cui cinquant'anni più tardi si trovò Scipione, colla sola differenza che non aveva di fronte nè un Annibale, nè un esercito di esperti veterani.
Ma appena si potè aver la prova della superiorità tattica dell'esercito romano, il senato richiamò metà delle milizie, contando ciecamente sul valore di quelli che restavano; il generale, fiducioso a sua volta, rimase dove si trovava, per farsi battere strategicamente, e quando accettava la battaglia, ovunque gli veniva offerta, finiva col farsi battere anche tatticamente.
Questa era cosa tanto più sorprendente, in quanto che Regolo, secondo la scuola romana d'allora, doveva dirsi un capitano valente e sperimentato.
Il modo, diremo così, patriarcale, con cui si conduceva la guerra, e che aveva valso la conquista dell'Etruria e del Sannio, fu appunto la causa principale della sconfitta nella pianura di Tunisi.
Il principio fin'allora giusto ed applicabile, che ogni cittadino sia atto a comandare un esercito, divenne a un tratto erroneo; col nuovo sistema di guerreggiare non si potevano elevare al supremo comando dell'esercito se non uomini che avessero lungamente militato e che avessero acquistato la facoltà d'una rapida sintesi ed un colpo d'occhio sicuro, e queste doti certamente non si trovavano in ogni console.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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