Fu in Grecia maggiore il giubilo o la vergogna allorchè invece delle dieci navi di linea della lega achea, la quale era la potenza più bellicosa della Grecia, entrarono ne' suoi porti duecento vele dei barbari, che d'un sol colpo sciolsero il compito che spettava ai Greci, ed al quale questi avevano sì miseramente mancato?
Ma se i Greci sentirono tutta l'onta di dovere la salvezza dei tribolati loro compatrioti ai barbari, non lo fecero conoscere che con buon garbo e non si esitò ad accogliere solennemente i Romani nella lega nazionale ammettendoli ai giuochi istmici ed ai misteri eleusini.
La Macedonia taceva; essa non era in condizione di protestare colle armi, e sdegnava di farlo colle parole.
I Romani non trovarono resistenza di nessuna sorta; ma, impossessandosi delle chiavi della casa del vicino, essi si erano creati in questo un nemico, il quale avrebbe saputo - ed essi potevano aspettarselo - rompere un giorno o l'altro il silenzio. Se avesse vissuto più lungamente l'energico ed assennato re Antigono Dosone, egli certamente avrebbe raccolto la sfida dei Romani, poichè quando alcuni anni dopo il dinasta Demetrio da Faro, sottrattosi all'egemonia romana, si mise ad esercitare la pirateria in opposizione ai trattati, d'accordo cogli Istriani, e sottomise gli Atintani dichiarati indipendenti dai Romani, Antigono si alleò con lui e le truppe di Demetrio combatterono nell'esercito di Antigono nella giornata di Sellasia (532=222). Ma Antigono morì (nell'inverno del 533-534=221-220), e il suo successore Filippo, ancora fanciullo, lasciò che il console Lucio Emilio Paolo attaccasse l'alleato della Macedonia, distruggesse la sua capitale e lo cacciasse profugo dal regno (535=219).
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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