I passi delle Alpi, il gran fiume navigabile per una lunghezza di cinquanta leghe e la maggiore e più fertile vallata dell'Europa civile di quei tempi, si trovavano allora, come poi, nelle mani del nemico ereditario del nome italico, il quale, sebbene umiliato e fiaccato, non era mai stato assoggettato se non di nome e continuava ad essere un molesto vicino, che perseverava nella sua barbarie e, scarsamente disseminato nelle vaste pianure, continuava la sua vita pastorale e predatrice.
Era da aspettarsi che i Romani si sarebbero affrettati ad occupare quei paesi, tanto più che i Celti cominciavano a poco a poco a dimenticare le loro sconfitte nelle campagne del 471-472=283-282 e ad agitarsi nuovamente, e quelli d'oltre alpe, ciò che era più grave, ricominciavano ad affacciarsi al di qua delle Alpi.
Infatti i Boi avevano sino dal 516=238 ricominciata la guerra, e i loro capi Ati e Galata, sebbene senza ordine dell'autorità del cantone, avevano invitato i transalpini a fare causa comune; questi vennero in grandi frotte, e nel 518=236 un esercito di Celti, quale l'Italia da lungo tempo non aveva veduto, pose il campo sotto Rimini.
9. Guerre dei Celti. I Romani, sentendosi in quel momento troppo deboli per tentare le sorti d'una battaglia, conclusero un armistizio e per guadagnare tempo lasciarono che i Celti mandassero a Roma ambasciatori, i quali osarono chiedere in senato la cessione di Rimini.
Sembravano ritornati i tempi del primo Brenno. Ma un avvenimento inaspettato mise fine alla guerra prima ancora che fosse seriamente incominciata.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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