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      I Boi, malcontenti degli importuni alleati e temendo fors'anche per il proprio paese, vennero in contestazioni coi transalpini; i due eserciti dei Celti scesero a battaglia campale; e, dopo che i capi dei Boi furono trucidati dai loro propri connazionali, i transalpini ritornarono ai loro paesi.
      I Boi erano così in balìa dei Romani e non dipendeva che da questi lo scacciarli, come avevano fatto dei Senoni, ed inoltrarsi per lo meno sino al Po; ma fu invece concessa loro la pace mediante la rinunzia ad alcune parti del loro territorio (518=236).
      Ciò sarà avvenuto probabilmente perché si riteneva prossima l'apertura delle ostilità con Cartagine. Ma cessato questo timore coll'acquisto della Sardegna, la sana politica del governo romano richiedeva che si eseguisse al più presto possibile la totale occupazione del paese che stendevasi sino alle Alpi; e con ciò si giustifica il continuo timore che avevano i Celti d'una simile invasione. Ma i Romani non si affrettarono e furono invece i Celti che iniziarono la guerra, sia che le distribuzioni di terre, che i Romani andavano facendo sulla costa orientale, li inquietassero (522=232), benchè non si riferissero direttamente ad essi, sia che riconoscessero inevitabile la guerra con Roma per il possesso della pianura padana, sia finalmente - e questo pare il più verosimile - che l'impaziente popolo celtico fosse ormai stanco del lungo oziare ed agognasse a nuove spedizioni. Meno i Cenomani che parteggiavano pei Veneti e si dichiararono in favore dei Romani, tutti i Celti italici presero parte alla guerra, e ad essi si associarono in gran numero i Celti della valle superiore del Rodano o piuttosto i loro disertori condotti da Concolitano e da Aneresto(18). I duci dei Celti avanzarono verso l'Appennino con 50.000 combattenti a piedi e 20.000 a cavallo o su carri (529=225).


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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