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      L'esercito degli Etruschi e dei Sabini ebbe il compito di occupare l'Appennino e possibilmente sbarrarlo finchè fossero potute arrivare le truppe regolari.
      A Roma si formò una riserva di 50.000 uomini; in tutta l'Italia, che questa volta riconobbe in Roma il suo vero baluardo, si arruolarono tutti gli uomini atti alle armi e si raccolsero provvigioni da bocca e da guerra.
      Ma tutto ciò richiedeva del tempo; i Romani si erano lasciati sorprendere, e per lo meno l'Etruria non era più possibile salvarla.
      I Celti trovarono l'Appennino fiaccamente difeso e saccheggiarono a loro agio le ricche pianure etrusche, che da lungo tempo non erano visitate da nemici. Si erano già avanzati sino a Chiusi, distante solo tre tappe da Roma, quando l'esercito di Rimini, comandato dal console Papo, apparve ai loro fianchi, mentre la milizia etrusca, che, varcato l'Appennino si era raccolta alle spalle dei Galli, seguiva la loro avanzata.
      Una sera, dopo che i due eserciti si erano già accampati ed avevano accesi i fuochi del bivacco, la fanteria celtica levò tutto ad un tratto di nuovo gli alloggiamenti battendo in ritirata sulla via di Fiesole; la cavalleria occupò per tutta la notte gli avamposti e la mattina seguente seguì il grosso dell'esercito.
      Allorquando la milizia etrusca, che aveva posto il suo campo in prossimità del nemico, s'accorse della sua ritirata, credendo che l'orda cominciasse a sbandarsi si affrettò ad inseguirla.
      I Galli avevano calcolato appunto su questo errore; la loro fanteria, rifattasi dalla stanchezza, stava in buon ordine attendendo in opportuno campo di battaglia la milizia romana, che arrivava stanca e disordinata per la marcia forzata.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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