Caio Flaminio passò il Po (531=223) nel paese degli Anari appena conquistato (presso Piacenza), ma per passarlo, e più ancora per mantenersi sull'altra sponda, soffrì perdite così gravi e si trovò, col fiume alle spalle, in così difficile situazione, che si vide costretto a trattare col nemico per avere libera la ritirata, cui gli Insubri stoltamente consentirono.
Ma s'era appena tolto da quella posizione, che, portatosi nel paese dei Cenomani, di concerto con questi ricomparve nel cantone degli Insubri dal lato settentrionale.
Troppo tardi s'accorsero i Galli dell'importanza del fatto. Essi tolsero dal tempio della loro dea le insegne d'oro dette le «immobili» e con tutte le loro forze, ascendenti a 50.000 uomini, offrirono battaglia ai Romani.
La posizione di questi era critica; si trovavano in riva ad un fiume (forse l'Oglio), separati dalla loro patria da un paese nemico e tanto pei soccorsi quanto per la linea di ritirata ridotti a fare assegnamento sulla incerta amicizia dei Cenomani. Ad ogni modo non avevano altra scelta. Essi posero i Galli, che combattevano nelle loro file, sulla sponda sinistra del fiume; sulla destra, di fronte agli Insubri, schierarono le legioni e ruppero i ponti onde almeno non essere presi alle spalle dai malsicuri alleati.
Certo è che in questo modo il fiume tagliava loro la ritirata e che non avevano altra via per ritornare in patria fuorchè attraverso l'esercito nemico. Ma la superiorità delle armi romane e della romana disciplina prevalsero e l'esercito si aprì una via attraversando le file nemiche; così la tattica romana riparò ancora una volta gli errori della strategia.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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