Il confine delle Alpi era raggiunto in quanto che tutta la valle del Po ubbidiva ai Romani come i territori dei Cenomani e dei Veneti: per cogliere il frutto di questa vittoria e per romanizzare il paese occorreva un certo tempo.
Per ottenere ciò i Romani non ebbero un modo uniforme di procedere. Nella parte montuosa al nord-ovest d'Italia e nei distretti più lontani tra le Alpi ed il Po si tollerarono in generale gli abitanti che vi si trovavano; le numerose così dette guerre che si sostennero contro i Liguri (la prima nel 516=238), sembra che siano state piuttosto caccie agli schiavi, e, per quanto i distretti e le valli si sottomettessero ai Romani, l'autorità di questi non vi esisteva per lo più che di nome.
Pare che anche la spedizione nell'Istria (533=221) non abbia avuto altra mira che quella di distruggere gli ultimi e più reconditi nascondigli dei pirati che infestavano l'Adriatico, e di stabilire una comunicazione per terra lungo la costa tra le conquiste italiche e i nuovi acquisti fatti sull'altra costa.
I Celti invece, che abitavano il paese a sud del Po, furono annientati. Il debole vincolo che univa le loro varie tribù, aveva per conseguenza che nessuno dei cantoni settentrionali si prendesse cura dei connazionali se non per danaro; i Romani poi li consideravano non solo come loro nemici capitali, ma come gli usurpatori del loro naturale retaggio. La grande distribuzione di terre fattasi nel 522=232 aveva popolato di coloni romani tutto il territorio posto tra il Piceno e Rimini; si continuò su questa via e non riuscì difficile scacciare e distruggere una popolazione semibarbara, quale era la celtica, che considerava l'agricoltura come cosa secondaria, e che mancava di città murate.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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