Sia però che nel consiglio cartaginese prevalesse il timore più immediato dell'esercito e della moltitudine che quello di Roma, sia che si comprendesse l'impossibilità di recedere da un simile passo una volta fatto, o che l'inerzia fosse così grande da impedire di prendere una decisiva risoluzione, il fatto sta che si prese il partito di non risolversi a nulla, e di non far la guerra, ma di lasciar che si facesse.
Sagunto si difese come sanno difendersi le città spagnuole; se i Romani avessero manifestato una minima parte dell'energia spiegata dai loro protetti, e se non avessero sciupato gli otto mesi che durò l'assedio di Sagunto nella miserabile guerra contro i pirati dell'Illiria, essi, padroni del mare e di buoni porti, avrebbero potuto risparmiarsi l'onta della promessa e mancata protezione, e dare forse alla guerra una direzione diversa.
Ma essi tentennarono e la città fu finalmente espugnata. Quando Annibale spedì a Cartagine il bottino perchè venisse distribuito, si ridestò il patriottismo e il desiderio di guerra in molti di coloro che prima erano rimasti indifferenti; la distribuzione poi del bottino rese impossibile ogni riconciliazione con Roma.
Quando poi, dopo la distruzione di Sagunto, arrivarono a Cartagine gli ambasciatori romani chiedendo la consegna del generale e dei gerusiasti che si trovavano nel campo, e quando l'oratore romano, interrompendo la giustificazione tentata dai Cartaginesi, mise fine alla discussione e, raccogliendo un lembo del suo manto in una mano, disse, che in quella egli teneva la pace e la guerra, i gerusiasti ebbero il coraggio di rispondere che lasciavano a lui la scelta.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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