Ben si sapeva quel che si voleva, e molte cose si facevano, ma nulla si faceva bene ed a tempo debito.
I Romani avrebbero potuto essere da lungo tempo padroni dei passi delle Alpi ed averla finita con i Celti; eppure quelli erano ancora liberi, e questi erano ancora formidabili. Avrebbero potuto vivere in pace con Cartagine quando avessero rispettato il trattato del 513=241, o, non volendolo, Cartagine avrebbe potuto da lungo tempo essere soggiogata; quel trattato era stato rotto di fatto coll'occupazione della Sardegna; eppure si lasciarono a Cartagine vent'anni perchè ricostituisse le sue forze senza molestia. Non era difficile mantener la pace colla Macedonia: ciò non di meno, per un meschino guadagno, se ne perdette l'amicizia.
Deve essere mancato un uomo di stato che avesse il talento di guidare e dominare nel loro insieme gli avvenimenti; da per tutto si era fatto troppo o troppo poco.
Ora cominciava la guerra, per la quale si era lasciata al nemico la scelta del tempo e del luogo, e, appoggiandosi al sentimento, pur ben fondato, della propria superiorità militare, non si sapeva che cosa risolvere intorno all'andamento e allo scopo delle prime operazioni.
I Romani potevano disporre di più di mezzo milione di buoni soldati; soltanto la loro cavalleria era meno buona, e in proporzione meno numerosa, della cartaginese, ammontando quella ad un decimo, questa ad un ottavo delle truppe complessive messe in campagna.
Nessuno degli stati, che avevano rapporto con questa guerra, possedeva una flotta corrispondente da contrapporre a quella di Roma composta di 220 quinqueremi, la quale faceva appunto ritorno dall'Adriatico al Mediterraneo occidentale.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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