Dacchè Annibale, passato il Rodano, era entrato nel paese dei Celti, non era più possibile impedire ch'egli raggiungesse le Alpi; ma se Scipione, subito dopo avutane la prima notizia, si fosse mosso col suo esercito verso l'Italia, in sette giorni, passando per Genova, egli sarebbe giunto alle sponde del Po, e raccolte attorno al suo esercito le piccole schiere disseminate in questa valle, avrebbe per lo meno potuto preparare al nemico, in questo paese, una pericolosa accoglienza. Egli, invece, non solo sciupò un tempo prezioso marciando verso Avignone, ma, sebbene dotato di molta capacità, non ebbe il coraggio politico e la avvedutezza militare per regolare secondo le circostanze i movimenti del suo corpo di truppe, e finì per mandare il grosso dell'esercito, capitanato da suo fratello Gneo, in Spagna, e con poca gente egli tornò a Pisa.
11. Annibale passa le Alpi. Annibale, dopo il passaggio del Rodano, spiegò lo scopo della sua impresa all'esercito adunato e fece parlare al medesimo, col mezzo d'un interprete, anche da Magilone, capo dei Celti arrivato dalla valle del Po; dopo di che, senza incontrare ostacoli, continuò la sua marcia verso le Alpi.
Nè la brevità della via, nè lo spirito degli abitanti potevano farlo decidere nella scelta del passo da varcare, benchè egli non avesse tempo da perdere nè allungando il cammino nè combattendo. Egli doveva prendere una via praticabile pel suo bagaglio, per la sua numerosa cavalleria e per gli elefanti, e che potesse fornire, per amore o per forza, al suo esercito sufficienti mezzi di sussistenza; giacchè sebbene egli avesse prese le sue misure per condurre con sè dei viveri sopra bestie da soma, questi non potevano naturalmente bastare che per pochi giorni ad un esercito, il quale, malgrado le forti perdite sofferte, contava ancora circa 50.000 uomini.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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