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      Qui, sopra il sicuro altipiano che si estende per circa due miglia e mezzo intorno ad un piccolo laghetto, sorgente della Dora, Annibale fece riposare la sua armata.
      Nell'animo dei soldati aveva cominciato a insinuarsi lo scoraggiamento. I sentieri che si facevano sempre più difficili, le provvigioni che andavano esaurendosi, le marcie attraverso le gole dei monti ed i continui attacchi d'un nemico che non si poteva mai raggiungere, le file dei soldati fortemente diradate, la disperata condizione dei dispersi e dei feriti, lo scopo della spedizione che per tutti sembrava una chimera fuori che per l'entusiasmo del duce e dei suoi fidi, cominciavano ad agire anche sui veterani spagnuoli ed africani. Ciò nondimeno la fiducia nel capitano non venne a mancare; molti fra i dispersi ritornarono; i Galli amici erano ormai vicini, il versante era superato e aperto dinanzi agli occhi lo scendente pendio, che è di così grande consolazione al viaggiatore delle Alpi.
      Dopo un breve riposo, ognuno si dispose con nuovo coraggio all'ultima e non meno ardua impresa, la discesa. Durante la quale l'esercito non fu molto molestato dai nemici, ma la stagione avanzata - erano i primi di settembre - uguagliò nello scendere i disagi che gli assalti dei barbari avevano arrecato nel salire.
      Sullo scosceso e sdrucciolevole pendio lungo il corso della Dora, ove la prima neve aveva sepolto e guastato i sentieri, si smarrivano e sdrucciolavano uomini e bestie rotolando negli abissi; ma il peggio fu verso la sera del primo giorno di marcia quando l'esercito arrivò ad un tratto di via lungo duecento passi circa, sul quale dalle sovrastanti scoscese roccie del Gramont cadono continuamente valanghe, e dove nelle estati fredde la neve non scompare mai.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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