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      12. I risultati. La meta era raggiunta, ma a costo di gravi sacrifici. Dei 50.000 fanti e 9000 cavalieri veterani, di cui si componeva l'esercito dopo il passaggio dei Pirenei, più della metà era rimasta vittima dei combattimenti, delle marce e dei passaggi dei fiumi; Annibale stesso calcolava allora il suo esercito a 20.000 fanti - dei quali tre quinti africani e due spagnuoli - 6000 cavalieri, parte dei quali a piedi: le lievi perdite di quest'arma, in confronto di quelle sofferte dalla fanteria, provano non solo l'eccellenza della cavalleria numidica, ma anche i voluti riguardi coi quali Annibale se ne serviva.
      Una marcia di 526 miglia, ossia circa trentatre tappe comuni, la quale, sia nel percorso che alla fine, non solo non fu turbata da inconvenienti gravi e non prevedibili, ma anzi fu possibile soltanto per molte fortunate combinazioni, e più ancora per gli errori del nemico, sui quali certo non s'era fatto alcun calcolo, e che ciò non pertanto non solo costò tante perdite, ma stancò e demoralizzò l'esercito in modo che abbisognò di un lungo riposo per mettersi in grado di riprender la campagna, fu un'operazione strategica d'un merito molto problematico e si può dubitare se lo stesso Annibale la ritenesse riuscita.
      Noi però non possiamo biasimare addirittura il generale. Noi vediamo gli errori del suo piano di guerra, ma non possiamo decidere se egli fosse stato in grado di prevederli dovendo attraversare un paese barbaro e sconosciuto, o se un altro piano, come sarebbe stato quello di prendere la via del litorale, o d'imbarcarsi in Cartagena od in Cartagine, lo avrebbe esposto a rischi minori.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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