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      Essi dovevano coprire i confini settentrionali, e presero quindi posizione sulle due strade militari che da Roma conducevano verso settentrione, e di cui l'occidentale metteva allora capo in Arezzo e l'orientale in Rimini; quella fu occupata da Gaio Flaminio, questa da Gneo Servilio.
      Essi chiamarono a sè, probabilmente per la via del fiume, i presidii delle fortezze poste sul Po, e attesero il ritorno della migliore stagione per occupare, mantenendosi sulla difensiva, i passi dell'Appennino, per passare poi all'offensiva, scendere nella valle del Po e forse congiungersi presso Piacenza.
      Senonchè Annibale non aveva affatto l'intenzione di difendere la valle del Po. Egli conosceva Roma meglio forse che non gli stessi Romani, e sapeva benissimo di essere decisamente più debole di loro e di esserlo malgrado la splendida vittoria riportata sulla Trebbia; egli sapeva pure che la mèta dei suoi pensieri, l'umiliazione di Roma, data la tenace fierezza dei Romani, non si poteva raggiungere nè con lo spavento nè colla sorpresa, ma unicamente col completo soggiogamento della città.
      Era notorio quanto la federazione italica, sia per solidità politica, quanto per risorse militari, fosse superiore a lui, che non riceveva dalla patria che incerti e irregolari sussidi, e in Italia non poteva fare assegnamento che sul popolo celtico oscillante e capriccioso; e quanto il fante cartaginese fosse nella tattica inferiore al legionario, malgrado tutte le cure impiegate da Annibale, lo aveva pienamente dimostrato la difesa di Scipione e la brillante ritirata della fanteria dopo la sconfitta toccata sulla Trebbia.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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