Quando il suo esercito fu riposato ed esercitato nel maneggio delle nuove armi, Annibale levò il campo, e, seguendo la via lungo il litorale, si portò verso l'Italia meridionale.
Egli aveva calcolato giustamente nel decidere il cambiamento di metodo nella sua fanteria; la sorpresa poi degli avversari, che si aspettavano un attacco contro la capitale, gli lasciò almeno quattro settimane di tempo per realizzare, nel cuore del paese nemico e con un esercito relativamente tuttora scarso, l'audace esperimento di cambiare completamente il suo sistema militare, contrapponendo legioni africane alle invincibili legioni italiche.
Ma la sua speranza che la federazione italica cominciasse a disgregarsi non si realizzò. Meno che mai si poteva fare assegnamento sugli Etruschi, i quali avevano condotto le ultime guerre d'indipendenza precipuamente con mercenari galli. L'anima della federazione, segnatamente sotto l'aspetto militare, erano, oltre i comuni latini, quelli dei Sabelli, ed a ragione Annibale si era avvicinato a questi. Ma le città gli chiusero le porte una dopo l'altra; nemmeno un comune italico fece lega coi Cartaginesi.
Questo non era per Roma soltanto un gran vantaggio, era tutto per essa; nondimeno nella capitale ben si comprendeva quale imprudenza sarebbe stata mettere ad una tale prova la fedeltà degli alleati senza avere in campo un esercito romano.
7. Quinto Fabio. Il dittatore Fabio raccolse le due legioni di riserva reclutate a Roma e l'esercito di Rimini, e quando Annibale passò nelle vicinanze della fortezza romana di Lucera, marciando verso Arpi, scorse presso Eca, al suo fianco destro, le insegne dell'esercito romano.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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