Ma il comandante romano operò diversamente dai suoi predecessori. Fabio era un uomo di età avanzata, dotato d'una riflessione e d'una fermezza che non pochi interpretavano per esitazione o ostinazione; zelante ammiratore del buon tempo antico, dell'onnipotenza politica del senato e dell'autorità consolare, egli attendeva la salute dello stato, oltre che dai sacrifizi e dalle preghiere, dalla guerra fatta metodicamente.
Avversario politico di Gaio Flaminio, chiamato dal partito della reazione alla testa degli affari per fare opposizione alla stolta demagogia militare di quello, partì pel campo altrettanto deciso di evitare a qualunque costo una battaglia campale, quanto il suo predecessore lo era stato di combatterne una a qualunque costo.
Egli era senza dubbio persuaso, che la più elementare strategia impedirebbe ad Annibale di avanzare fin tanto che l'esercito romano gli stesse di fronte intatto, e che non sarebbe quindi tanto difficile indebolire con piccoli combattimenti e colla fame l'esercito nemico, già ridotto a dover fare requisizioni.
Bene informato dalle sue spie in Roma e nell'esercito romano, Annibale ebbe immediatamente notizia dello stato delle cose, e diresse quindi, come aveva fatto sempre, il piano della sua campagna a seconda del carattere individuale del comandante nemico.
Lasciando da parte l'esercito romano, egli valicò l'Appennino portandosi nel cuore dell'Italia, a Benevento; prese la città aperta di Telesia sui confini del Sannio e della Campania, e volse poi i suoi passi verso Capua, la più ragguardevole fra tutte le città italiche dipendenti da Roma, e perciò appunto quella che maggiormente sentiva l'umiliazione del romano dominio.
| |
Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
|
|
Gaio Flaminio Annibale Roma Annibale Appennino Italia Benevento Telesia Sannio Campania Capua Roma
|