Annibale vi manteneva delle relazioni che gli facevano sperare il distacco dei Campani dalla federazione romana, ma questa speranza gli andò fallita. Riprese allora la via dell'Apulia.
Durante questa marcia dell'esercito cartaginese, il dittatore l'aveva seguito sulle alture condannando i suoi soldati alla triste condizione di assistere colle mani in mano all'opera distruttrice della cavalleria numida che saccheggiava i fedeli loro confederati e incendiava i villaggi disseminati nella pianura.
Il dittatore porse finalmente all'inasprito esercito romano l'occasione ardentemente desiderata di venire alle mani col nemico. Quando Annibale intraprese la ritirata, Fabio gli sbarrò la via presso Casilino (l'odierna Capua) gettando un forte presidio sulla riva sinistra del Volturno ed occupando sulla diritta le creste delle colline col grosso dell'esercito, mentre un corpo di 4000 uomini si accampava sulla via stessa che conduceva al fiume.
Ma Annibale ordinò che le sue truppe armate alla leggera salissero sulle alture che sorgevano immediatamente sopra la strada e da qui spingessero innanzi a loro un buon numero di buoi con fascine accese legate alle corna, per far credere che tutto l'esercito cartaginese si ritirasse da quella parte di notte tempo al lume delle fiaccole.
Il distaccamento dei Romani, che sbarrava la strada, credendosi aggirato, e, ritenendo superfluo di guardare ormai quel passaggio, si trasse in disparte sulle medesime alture; Annibale allora passò col grosso dell'esercito per quella strada senza incontrare il nemico, e il mattino seguente liberò senza molte difficoltà e con forti perdite per i Romani le sue truppe leggere.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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