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      Fu una crudele, ma giusta punizione dei gravi errori politici di cui non soltanto alcuni stolti e miserabili individui, ma tutti i cittadini romani si erano resi colpevoli.
      La costituzione formata per la piccola città di provincia non poteva più, in nessun modo, adattarsi alla grande potenza.
      Era impossibile, per esempio, far decidere ogni anno la scelta del supremo comandante degli eserciti della repubblica da quel vaso di Pandora ch'era l'urna elettorale. Ma siccome non si poteva dar mano in quel momento ad una revisione fondamentale della costituzione, quando pure fosse stato possibile farlo, non restava altro che lasciare alla sola magistratura capace, cioè al senato, la direzione della guerra e particolarmente la concessione e la proroga del comando, riservando ai comizi soltanto la sanzione formale.
      I brillanti successi degli Scipioni nel difficile teatro della guerra spagnuola provarono ciò che si poteva ottenere con un tal sistema. Ma la demagogia politica, che già andava rodendo le fondamenta dell'edificio aristocratico della costituzione, si era ormai impossessata della direzione della guerra; la stolta accusa, che i grandi cospiravano coi nemici esterni, aveva fatto impressione sull'animo del «popolo». In conseguenza di che i Messia, dai quali la cieca fede popolare si attendeva la salute, Gaio Flaminio e Varrone, «uomini nuovi» e amici del popolo a tutta prova, erano stati incaricati dalla stessa folla dell'esecuzione dei piani di guerra sviluppati nel foro romano in mezzo agli applausi della medesima.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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