2. Marcello. Ma, ciò che più importava, egli doveva combattere con altri avversari.
Ammaestrati da terribili esperienze, i Romani adottarono un più giudizioso sistema di guerreggiare, mettendo alla testa degli eserciti soltanto uomini sperimentati e lasciandoveli, quando la necessità lo imponeva, oltre il tempo stabilito dalle leggi.
E questi uomini, se non si accontentavano di osservare dall'alto dei monti i movimenti dei nemici, non si gettavano nemmeno ciecamente sul nemico ovunque fosse, ma tenevano il giusto mezzo fra il temporeggiamento e l'impazienza, e, prendendo posizione in campi trincerati sotto la protezione delle fortezze, accettavano battaglia soltanto quando si offriva con prospettive favorevoli, e la sconfitta non potesse, comunque, esser seguita dallo sterminio.
L'anima di questo nuovo sistema di guerreggiare fu Marco Claudio Marcello. Dopo la fatale giornata di Canne, tanto il senato quanto il popolo avevano assennatamente volti gli sguardi a questo valoroso ed esperto capitano conferendogli immediatamente il supremo comando.
Egli aveva appreso il mestiere delle armi nella difficile guerra siciliana contro Amilcare, ed aveva provato luminosamente il suo talento come capitano non meno che il suo valore personale nelle ultime campagne contro i Celti. Benchè vicino ai sessant'anni, era ancora pieno di ardore marziale e pochi anni prima, essendo a capo d'una spedizione, aveva rovesciato da cavallo il comandante nemico, primo ed unico console romano cui riuscisse un tal fatto d'arme.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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