Questi miasmi salvarono parecchie volte la città e più spesso di quello che la salvasse il valore dei suoi cittadini. Ai tempi del primo Dionisio erano stati completamente distrutti da queste epidemie sotto le sue mura due eserciti cartaginesi che la tenevano assediata. Ora il destino rivolse a danno della città ciò che le aveva servito di difesa; poichè, mentre lieve era il danno che soffriva l'esercito di Marcello stanziato nei sobborghi, le febbri facevano strage dei Cartaginesi e dei Siracusani attendati a cielo aperto.
Ne furono vittime Ippocrate, Imilcone e la maggior parte degli Africani; i resti dei due eserciti, composti in maggioranza di indigeni, si dispersero nelle città vicine. I Cartaginesi fecero ancora un tentativo per liberare la città dalla parte del mare; ma quando la flotta romana offrì battaglia l'ammiraglio Bomilcare si sottrasse colla fuga.
Allora lo stesso Epicide, che comandava la città, ritenendola perduta, fuggì in Agrigento. Siracusa si sarebbe arresa volentieri ai Romani e le trattative erano già cominciate; ma per la seconda volta andarono fallite per colpa dei disertori. In una nuova sollevazione dei mercenari furono assassinati i capi della borghesia e molti distinti cittadini, e le truppe straniere domandarono ai loro capitani il governo e la difesa della città. Marcello entrò allora con uno di questi in trattative che gli valsero una delle due parti ancora libere della città, cioè l'isola, dopo di che i cittadini gli aprirono anche le porte dell'Achradina (autunno 542=212).
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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