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      6. Conquista di Siracusa. Se fu giammai il caso di far grazia ad una città, anche secondo le non lodevoli massime del diritto pubblico romano sul trattamento dei comuni che avessero rotto i patti della federazione, lo era certo quello di Siracusa, la quale, evidentemente, non aveva avuto libertà d'azione ed aveva fatto replicatamente i più seri sforzi per sottrarsi alla tirannide delle soldatesche straniere. Ma non solo Marcello macchiò il suo onore militare abbandonando la ricca città commerciale ad un saccheggio generale, durante il quale, oltre a molti altri cittadini, trovò la morte anche Archimede; ma il senato romano fu sordo ai posteriori lamenti dei Siracusani contro il celebrato capitano e non restituì nè ai singoli cittadini il bottino, nè la libertà alla città.
      Siracusa e le città già da essa dipendenti divennero comuni soggetti ad imposta. Le sole città di Taormina e di Noto ottennero i privilegi stessi di Messina, mentre la marca leontina divenne proprietà dei Romani che vi lasciarono i proprietari come affittavoli. Nessun cittadino siracusano doveva, d'allora in poi, abitare nell'«isola», cioè nella parte della città che domina il porto.
      La Sicilia pareva dunque perduta pei Cartaginesi; ma il genio d'Annibale, benchè lontano, si manifestava operoso anche qui.
      Egli mandò all'esercito cartaginese, che sotto il comando d'Annone e di Epicide stava perplesso e inerte presso Agrigento, un ufficiale di cavalleria della Libia, Mutinete, il quale, assunto il comando della cavalleria numidica, colle sue squadre volanti seppe cambiare in aperto incendio la fiamma dell'odio accanito che il rigore dei Romani aveva seminato per tutta l'isola.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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