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      Vi si associarono anche i capi delle tribù semibarbare della Grecia e dell'Illiria, eterni avversari della Macedonia, e finalmente Attalo re di Pergamo, il quale, nella rovina dei due grandi stati greci, in mezzo ai quali egli si trovava, promoveva con avvedutezza e con energia il proprio interesse ed era abbastanza perspicace per mettersi nella clientela romana mentre la sua alleanza aveva ancora qualche valore.
      Non è confortevole e nemmeno necessario seguire gli alterni eventi di questa guerra senza scopo.
      Filippo, benchè fosse superiore ad ognuno dei suoi singoli avversari e respingesse da ogni parte con energia e con valore personale gli attacchi, pure, in questa malaugurata difensiva, finiva per consumare le sue forze.
      Ora doveva marciare contro gli Etoli, i quali in unione colla flotta romana conducevano una guerra di distruzione contro gli infelici Acarnani e minacciavano Locri e la Tessalia; ora un'invasione di barbari lo chiamava nei paesi settentrionali; ora erano gli Achei che chiedevano il suo aiuto contro le schiere dei predoni etoli e spartani; ora il re Attalo e il comandante della flotta romana Publio Sulpizio che minacciavano colle loro forze unite le coste orientali e sbarcavano truppe in Eubea.
      La mancanza di un naviglio da guerra paralizzava tutte le mosse di Filippo, e simile mancanza si faceva sentire al punto, ch'egli si volse al suo alleato Prusia, re di Bitinia, e persino ad Annibale, pregandoli di mandargli delle navi. Soltanto alla fine della guerra egli si decise a fare quello che avrebbe dovuto fare sin da principio, ordinare cioè la costruzione di cento vascelli, che però a nulla servirono, se pure l'ordine fu eseguito.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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