Del resto, colle nostre imperfettissime tradizioni, assai guastate particolarmente dalla cronologia, non è possibile dare una soddisfacente relazione d'una guerra condotta in questa maniera.
Gneo e Publio Scipione, governatori dei Romani nella penisola, buoni generali ed eccellenti amministratori entrambi, ma particolarmente Gneo, portarono a fine il loro compito col più brillante successo.
Non solo fu mantenuto il confine dei Pirenei, ed impedito duramente il tentativo fatto dai Cartaginesi di ristabilire l'interrotta comunicazione terrestre fra il loro comandante ed il suo quartier generale; non solo venne trasformata la città di Tarragona, sull'esempio di Cartagena, in una nuova Roma spagnuola con estese fortificazioni ed opere marittime al porto, ma gli eserciti romani combatterono sino dal 532=215 con buoni risultati nell'Andalusia.
Con più splendido successo fu ripresa la campagna l'anno successivo (540=214).
I Romani spinsero le loro armi quasi sino alle colonne d'Ercole, estesero la loro clientela nella Spagna meridionale, e finalmente, con la riconquista e riedificazione di Sagunto, si assicurarono un'importante stazione sulla linea dall'Ebro a Cartagena, pagando al tempo stesso, per quanto era possibile, un antico debito nazionale.
Mentre gli Scipioni stavano quasi per scacciare i Cartaginesi dalla Spagna, procuravano loro, nella stessa Africa occidentale - nelle odierne provincie di Orano e di Algeri - un pericoloso nemico nel possente principe Siface, il quale era entrato in rapporti con Roma verso il 541=213.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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