Scelsero questo ultimo partito e assoldarono 20.000 Celtiberi.
Per affrontare meglio i tre eserciti nemici comandati da Asdrubale Barca, da Asdrubale figlio di Giscone, e da Magone, gli Scipioni divisero il loro esercito e non conservarono unite nemmeno le loro truppe romane. Così facendo si prepararono alla rovina.
Mentre Gneo col suo esercito, composto di un terzo delle truppe romane e di tutte le truppe spagnuole, stava accampato di fronte ad Asdrubale Barca, questi, mediante denaro, decise senza gravi difficoltà gli Spagnuoli, che militavano nell'esercito romano, ad abbandonare quelle insegne, ciò che, secondo la loro morale da lanzichenecchi, non può considerarsi forse nemmeno come una fellonia, poichè essi non passarono dalla parte dei nemici di colui che li aveva assoldati.
Al comandante romano toccò battere colla massima sollecitudine in ritirata inseguito dai nemici colla spada alle reni.
Nel frattempo il secondo esercito romano, comandato da Publio, fu messo alle strette dai due eserciti cartaginesi comandati da Asdrubale figlio di Giscone e da Magone; le ardite schiere di cavalleria di Massinissa diedero ai Cartaginesi un deciso vantaggio.
Il campo dei Romani era ormai quasi circondato e lo sarebbe stato compiutamente all'arrivo delle truppe ausiliare spagnuole che erano già in marcia. L'ardita risoluzione del proconsole di andare ad incontrare gli Spagnuoli colle migliori sue truppe prima che col loro arrivo si chiudesse completamente il blocco, non ebbe esito felice.
I Romani avevano da principio ottenuto qualche vantaggio; ma la cavalleria numidica, che inseguì rapidamente le schiere uscite dal campo, le ebbe tosto raggiunte ed arrestò tanto il proseguimento della vittoria già riportata per metà, quanto la ritirata, finchè l'arrivo della fanteria cartaginese e la morte del comandante mutò la perduta battaglia in una vera sconfitta.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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