E veramente Publio Scipione era un entusiasta che ispirava entusiasmo. Non era di quei pochi che col loro ferreo volere trascinano il mondo per secoli nella nuova via da essi tracciata, o che tengono per lunghi anni imbrigliata la fortuna sino a che le ruote del suo carro non siano passate sovr'essi: egli vinse battaglie e conquistò paesi per ordine del senato, e, mercè gli allori raccolti sui campi di battaglia, ebbe anche in Roma un'eminente posizione quale uomo politico; ma per poter venir paragonato ad un Alessandro o ad un Cesare gli mancava ancora molto.
Come ufficiale esso non fu certamente, per la patria, più di Marco Marcello; come uomo politico, forse senza avere nessuna coscienza della sua politica antipatriottica ed egoistica, egli cagionò al suo paese almeno altrettanto danno quanto vantaggio gli arrecò coi suoi talenti militari.
Ciò non pertanto in questa bella figura sta un fascino singolare; essa ci appare circondata come da una splendida aureola, da quella serena e fiduciosa ispirazione a cui soleva abbandonarsi in parte in buona fede, in parte con destrezza. Possedeva quel tanto di fanatismo che poteva bastare per suscitarlo nei cuori altrui, e sufficiente discernimento per seguire in ogni evento ciò che era secondo la ragione, tenendo in pari tempo calcolo anche del volgare; non così ingenuo per dividere colla moltitudine la credenza delle divine ispirazioni, nè abbastanza schietto per opporvisi, eppure, nel suo animo, persuaso di essere un uomo specialmente favorito dagli dei; Scipione era insomma una vera natura profetica.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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