Mentre dalla parte di terra infuriava il combattimento, egli mandava una divisione munita di scale attraverso il banco di sabbia «ove Nettuno stesso mostrar le doveva la via», ed essa ebbe effettivamente la fortuna di trovar le mura senza difesa. Così fu presa la città in un giorno; Magone, che si trovava nella cittadella, capitolò.
Colla capitale cartaginese caddero in mano dei Romani diciotto navi da guerra disarmate, e sessantre onerarie, tutto il materiale di guerra, ragguardevoli provviste di grano, la cassa di guerra con 600 talenti (L. 3.660.000); gli ostaggi di tutti gli alleati spagnuoli di Cartagine, e diecimila prigionieri, fra i quali diciotto gerusiasti, ossia giudici cartaginesi.
Scipione promise agli ostaggi di lasciarli liberi appena la patria di ognuno si fosse alleata con Roma, e si servì dei mezzi offertigli dalla città per rafforzare ed assestare il suo esercito, facendo lavorare per esso duemila operai di Cartagena colla promessa di accordar loro la libertà dopo finita la guerra; scelse inoltre fra la moltitudine i più idonei come rematori per le sue navi.
I cittadini furono risparmiati, lasciando loro la libertà e la posizione che avevano avuto fino allora.
Scipione conosceva i Cartaginesi e sapeva che essi avrebbero ubbidito.
Era cosa di molta importanza assicurarsi il possesso di quella città, che possedeva l'unico eccellente porto sulla costa orientale e ricche miniere d'argento, e non la sola guarnigione.
La temeraria impresa era riuscita; temeraria, dissi, perchè Scipione non ignorava che Asdrubale Barca aveva ricevuto ordine dal suo governo di spingersi nella Gallia, e che si era accinto ad eseguirlo; come sapeva pure che la debole guarnigione lasciata sull'Ebro sarebbe stata difficilmente in grado d'impedirglielo se il ritorno di Scipione fosse di poco ritardato.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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