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      I proprietari degli schiavi, armati a spese del comune e fatti liberi dopo la battaglia di Benevento, dichiararono alla commissione bancaria, la quale ne aveva loro offerto il pagamento, che lo attenderebbero sino a guerra finita (540=214).
      Allorchè le casse dello stato non poterono fornire il denaro necessario alle feste popolari od al restauro degli edifici pubblici, le società, che fino allora avevano avuto in appalto tali opere, si dichiararono pronte a continuare le loro prestazioni gratuitamente (540=214). E fu persino costruita ed equipaggiata una flotta mediante un prestito volontario fatto dai ricchi, appunto come nella prima guerra punica (544=210). Si consumarono persino i depositi pupillari; e finalmente, nell'anno dell'espugnazione di Taranto, si ricorse al fondo tenuto in riserva da lunghissimo tempo pei casi di estremo bisogno (circa L. 4.100.000). Ciò non pertanto le risorse dello stato non bastavano alle spese più necessarie; il pagamento del soldo alle truppe difettava in modo inquietante, particolarmente nei paesi lontani.
      Ma le strettezze, in cui versava lo stato, non erano il lato peggiore delle sue infelici condizioni materiali.
      Le campagne erano dappertutto abbandonate, ed anche dove non v'era stata la guerra si mancava di braccia che adoperassero la scure e la falce. Il prezzo delle granaglie era salito sino a 15 denari (L. 12,50) al medimmo (un moggio e mezzo), circa il triplo del prezzo medio che costava nella capitale, e molti sarebbero addirittura morti di fame se non fossero arrivate delle provvigioni di grano dall'Egitto, se innanzi tutto l'agricoltura, ritornata a fiorire in Sicilia, non avesse recato efficace rimedio all'estrema miseria.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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