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      E l'Italia non era più l'Italia di undici anni prima: lo stato e gli individui erano esausti, la federazione latina era rilassata, il migliore generale era caduto poco prima sul campo di battaglia, e Annibale non era vinto.
      Scipione poteva con ragione esaltare il favore del suo genio, se gli riusciva di rimuovere da sè e dal suo paese le conseguenze dell'imperdonabile suo errore.
      21 Asdrubale ed Annibale in marcia. Come aveva fatto nei tempi di massimo pericolo, Roma chiamò nuovamente sotto le armi ventitrè legioni, i volontari e persino coloro che la legge esentava dal servizio militare. Ciò non pertanto i Romani vennero sorpresi.
      Asdrubale, assai prima che gli amici e i nemici se l'aspettassero, aveva varcato le Alpi (547=207). I Galli, abituati ormai a tali passaggi, gli avevano aperto volentieri il passo per danaro, somministrando all'esercito tutto ciò di cui avesse bisogno.
      Seppure a Roma si era pensato ad occupare gli sbocchi delle Alpi, anche questa volta si era fatto troppo tardi: già si aveva notizia che Asdrubale era arrivato sulle sponde del Po, che chiamava sotto le armi i Galli col medesimo successo del fratello e che aveva preso d'assalto Piacenza.
      Il console Marco Livio si mosse in tutta fretta per raggiungere l'esercito settentrionale, e in realtà il tempo stringeva.
      Nell'Etruria e nell'Umbria regnava un sordo fermento; l'esercito cartaginese veniva rinforzato da volontari di questi paesi.
      Il pretore Gaio Nerone chiamò a sè il collega Gaio Ostilio Tubulo che si trovava in Venosa, e con un esercito di 40.000 uomini si affrettò a chiudere ad Annibale la via verso settentrione.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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