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      Egli abbandonò perciò spontaneamente Turio; Locri fu rioccupata per opera di Publio Scipione da una divisione spedita da Reggio (549=205).
      Le autorità cartaginesi, quasi volessero dare una luminosa sanzione, negli ultimi momenti, ai piani d'Annibale, che esse avevano rovinati, trovandosi nell'ansia per il temuto sbarco dei Romani ricorsero finalmente a quegli stessi suoi piani (548-9=206-5) e mandarono rinforzi e sussidi ad Annibale in Italia ed a Magone in Spagna, coll'ordine di ricominciare la guerra in Italia e d'ottenere coll'armi un altro po' di respiro ai tremanti proprietari delle ville nella Libia ed ai bottegai di Cartagine.
      Un'altra ambasceria inviarono nella Macedonia per decidere Filippo a rinnovare il trattato d'alleanza e ad effettuare lo sbarco in Italia (549=205).
      Ma era troppo tardi. Filippo pochi mesi prima aveva fatto la pace coi Romani; l'imminente rovina politica di Cartagine non tornava a lui opportuna, ma, almeno palesemente, egli nulla fece contro Roma. Fu spedito un piccolo corpo macedone in Africa, che Filippo, al dire dei Romani, pagava dalla sua cassetta; il che sarebbe stato naturale, ma, come lo dimostra l'ulteriore andamento delle cose, i Romani non ne avevano per lo meno alcuna prova. Quanto ad uno sbarco di truppe macedoni in Italia non vi si pensò nemmeno.
      Il più giovane dei figli di Amilcare, Magone, comprese più seriamente il suo compito. Con i resti del suo esercito spagnuolo, che da prima egli aveva condotto a Minorca, sbarcò nell'anno 549=205 presso Genova, distrusse la città e fece appello ai Liguri ed ai Galli, i quali vennero in frotta, come sempre, attirati dall'allettamento dell'oro e della novità dell'impresa.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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