E finchè si trovò di fronte il debole esercito cartaginese fu in vantaggio, riuscendo, dopo alcuni felici combattimenti di cavalleria, a mettere l'assedio ad Utica; ma quando arrivò Siface alla testa d'un esercito, che si dice ammontasse a 50.000 fanti e 10.000 cavalieri, dovette levare l'assedio e prendere posizione su di un promontorio facile ad essere trincerato, che sorge fra Utica e Cartagine, passando l'inverno in un campo fortificato, appoggiato dalle sue navi (550-1=204-3).
Per togliersi dalla scabrosa situazione in cui lo trovò la primavera, egli fece un colpo maestro che riuscì felicemente.
Addormentati dalle trattative di pace maliziosamente intavolate da Scipione, gli Africani si lasciarono sorprendere nella stessa notte in entrambi i loro accampamenti; le capanne dei Numidi, costruite di canne, furono mandate in fiamme, e quando i Cartaginesi si affrettarono al soccorso toccò al loro campo la stessa sorte; i fuggitivi essendo senz'armi furono fatti a pezzi dalle divisioni romane.
Questa sorpresa notturna fu più fatale che non una battaglia qualsiasi; ma i Cartaginesi non si smarrirono e rigettarono persino il consiglio dei timidi, o meglio, degli assennati, di richiamare Magone ed Annibale.
Erano appunto allora arrivate le truppe ausiliarie dei Celtiberi e dei Macedoni, e fu deciso di tentare un'altra volta la sorte delle armi in una battaglia campale sui «vasti campi» alla distanza di cinque marce da Utica. Scipione l'accettò; i suoi veterani ed i volontari dispersero con lieve fatica le raggranellate schiere cartaginesi e numidiche; ed anche i Celtiberi, che non potevano attendersi grazia da Scipione, furono tagliati a pezzi dopo un'ostinata resistenza.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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