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      Se però le umiliate città di Capua e di Atella furono dalle autorità abbandonate alle sfrenate arguzie della commedia romana, l'ultima particolarmente ne costituiva il preferito bersaglio; e se vi furono altri poeti comici, i quali spinsero i loro motteggi sino a dire che gli schiavi campani si erano già abituati a sopportare la loro sorte in un clima mortifero, nel quale soccombeva persino il popolo sirio, che era la razza più robusta fra quelle degli schiavi, collo scherno dei vincitori si sentiva anche il grido di dolore delle vilipese nazioni.
      Come stessero le cose lo prova l'ansiosa sollecitudine con la quale, durante la seguente guerra macedonica, fu da parte del senato mantenuta la sorveglianza dell'Italia, e lo provano i rinforzi che da Roma furono spediti alle più ragguardevoli colonie, come a Venosa l'anno 554=200, a Narni il 555=199, a Cosa il 557=197.
      In quale proporzione la guerra e la fame avessero diradato le popolazioni italiche lo prova l'esempio della cittadinanza romana, il cui numero durante la guerra era diminuito quasi della quarta parte: non pare affatto esagerata la cifra di 300.000 Italici morti durante la guerra annibalica. È naturale che questa perdita avesse toccato di preferenza il fiore della borghesia, la quale somministrava il nerbo e la massa dei combattenti.
      Quanto fosse grande la diminuzione nel numero dei senatori lo prova il loro completamento dopo la battaglia di Canne, allorchè il senato era ridotto a 123 membri, e con somma difficoltà fu riportato al numero normale mediante la nomina straordinaria di altri 177.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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