I Celti però continuarono la lotta: lo stesso esercito romano, che aveva riportata la vittoria presso Cremona, fu l'anno dopo (555=199), per colpa principalmente dello spensierato suo comandante, quasi distrutto dagli Insubri, e la città di Piacenza potè soltanto nell'anno 556=198 essere in parte ricuperata.
Ma nella lega dei cantoni, unitisi in una lotta di vita o di morte, era nata la discordia; tra i Boi e gli Insubri nacque contesa, ed i Cenomani non solo uscirono dalla federazione nazionale, ma comperarono il perdono dei Romani col tradire vergognosamente i propri compatriotti, mentre in una battaglia data dagli Insubri ai Romani sulle sponde del Mincio essi assalirono alle spalle i loro alleati e commilitoni e contribuirono così a sconfiggerli (557=197).
Avviliti e abbandonati, gli Insubri dopo la caduta di Como piegarono essi pure la fronte e conclusero una pace separata (558=196).
Le condizioni imposte da Roma ai Cenomani ed agli Insubri erano senza dubbio più dure di quelle che si solevano accordare ai membri della federazione italica; particolarmente si ebbe cura di stabilire legalmente una linea di separazione fra Italici e Celti, e di statuire che un membro delle due schiatte celtiche non potesse giammai acquistare la cittadinanza romana.
Intanto fu lasciata a questi distretti celti traspadani la loro esistenza e la loro costituzione, così che essi non formavano territori urbani, ma cantoni; e non consta che ai medesimi sia stato imposto qualche tributo: essi dovevano servire di baluardo alle colonie romane situate a mezzodì del Po, difendere l'Italia dalle invasioni dei popoli settentrionali e dei rapaci abitatori delle Alpi che scendevano regolarmente a scorrerie in questi paesi.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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