I Cartaginesi non potevano fare altro che rassegnarsi e ringraziare la loro amica stella che Annibale, colla improvvisata e prudente sua fuga in oriente, risparmiando alla città nativa l'onta maggiore, lasciasse ad essa la minore, quella cioè di aver bandito per sempre dalla propria patria il suo più grande cittadino, di aver confiscato i suoi beni e rasa al suolo la sua casa; sicchè si verificò in Annibale pienamente il motto profondamente sapiente, che i prediletti degli dei sono quelli cui essi concedono gioie e dolori innegabili.
Meno giustificabili dell'accanimento del governo romano contro Annibale furono i modi sospettosi e molesti, praticati dallo stesso governo contro Cartagine dopo la sua fuga. Vi continuarono veramente le agitazioni dei partiti, ma dopo l'allontanamento dell'uomo che aveva quasi capovolto i destini del mondo, il partito patriottico non aveva maggior importanza in Cartagine di quello che avesse nell'Etolia e nell'Acaia.
L'idea più saggia di quelli che allora tenevano in agitazione l'infelice città, era senza dubbio quella di unirsi con Massinissa e di tramutare l'oppressore in protettore dei Cartaginesi. Se non che, non essendo pervenuta al potere nè la frazione patriottica del partito nazionale, nè quella che propendeva per i Libi, ma essendo esso rimasto nelle mani degli oligarchi favorevoli ai Romani, essi, sebbene non rinunciassero alla speranza d'un migliore avvenire, si tenevano fermi alla sola idea di salvare il benessere materiale e la libertà comunale di Cartagine sotto la protezione di Roma.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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