I Romani n'avrebbero pure potuto andar tranquilli.
Ma a Roma la moltitudine e gli stessi membri del governo di tempra comune non potevano cacciare dalla mente le ansie provate durante la guerra annibalica; i commercianti romani poi invidiavano Cartagine, la quale, sebbene avesse perduta tutta la sua importanza politica, pure continuava a mantenersi in possesso di estese relazioni commerciali e di una ricchezza solida ed incrollabile.
Il governo cartaginese offrì sin dal 567=187 il versamento immediato di tutte le rate della contribuzione stipulata nel trattato di pace del 553=201, ciò che i Romani, come era ben naturale, declinarono, poichè ad essi importava assai più l'obbligo del tributo di Cartagine che il denaro stesso; ma dall'offerta dedussero la persuasione, che, malgrado tutti gli sforzi fatti, Cartagine non era rovinata, nè poteva esserlo.
E in Roma continuavano a circolare notizie sulle mene degli infidi Cartaginesi. Ora era comparso in Cartagine Aristone da Tiro quale emissario d'Annibale per preparare i cittadini all'approdo d'una flotta asiatica (561=193); ora il senato aveva dato udienza notturna agli ambasciatori di Perseo nel tempio d'Esculapio (581=173); ora si parlava della formidabile flotta che Cartagine armava per la guerra macedonica (583=171). È verosimile che queste notizie ed altre simili non avessero altro fondamento che, tutt'al più, qualche imprudenza individuale; esse erano però sempre pretesto per nuovi insulti diplomatici da parte dei Romani, per nuove usurpazioni da parte di Massinissa e sempre più chiaro si manifestava il pensiero, per quanto fosse assurdo, che con Cartagine non si poteva finirla senza una terza guerra punica.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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