All'opposto, l'obbligo che fu imposto ai sudditi spagnuoli di somministrare contingenti agli eserciti romani, assunse in quelle province un'importanza ben diversa da quella che aveva assunta per lo meno nella pacifica Sicilia, e quest'obbligo veniva regolato con precisione anche nei diversi trattati. Pare inoltre che a molte cittą spagnuole sia stato concesso il diritto di battere moneta d'argento sul piede romano e che il governo romano non vi esercitasse il monopolio monetario come in Sicilia. Roma sentiva troppo il bisogno di avere in Spagna dei sudditi per usare i massimi riguardi possibili nell'introdurvi e farvi osservare la costituzione provinciale.
Nel novero dei comuni particolarmente favoriti da Roma appartenevano le grandi cittą marittime fondate dai Greci, dai Fenici e dai Romani: Sagunto, Cadice, Tarragona, le quali furono accolte nella lega romana come colonne naturali della signoria romana nella penisola.
La Spagna, in conclusione, era tanto dal lato militare come dal lato finanziario per Roma pił un peso che non un vantaggio.
Viene quindi spontanea la domanda perchč il governo romano, nella cui politica non entrava ancora assolutamente il programma di conquiste ultramarine, non rinunziasse a questi incomodi possedimenti.
Le ragguardevoli relazioni commerciali, le importanti miniere di ferro e le miniere d'argento ancora pił importanti(36) e famose da antichissimi tempi persino nel lontano oriente, che erano utilizzate dai Romani come lo erano state dai Cartaginesi, e della cui amministrazione ebbe cura particolarmente Marco Catone (559=195), vi avranno senza dubbio influito; ma la ragione principale per cui i Romani mantenevano la signoria diretta nella penisola era quella che qui mancava uno stato simile alla repubblica marsigliese nel paese dei Celti e al regno numidico nella Libia, e che non si poteva abbandonare la Spagna senza offrire il destro ad un avventuriero qualsiasi di farvi rivivere il regno spagnuolo dei Barca.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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