La pretesa, finalmente, che Roma aveva di proteggere tutti gli Elleni, non era già una semplice frase; i Napoletani, i Reggini, i Massalioti e gli Emporiensi potevano testimoniare che quella protezione era un fatto, e non vi è poi alcun dubbio che in quei tempi i Romani erano in più stretti rapporti coi Greci di qualsiasi altra nazione, e poco meno dei Macedoni ellenizzati.
È cosa strana voler contendere ai Romani, nelle loro simpatie pei Greci e per la causa dell'umanità, il diritto di sentirsi muovere a sdegno per lo scellerato trattamento fatto a quelli di Chio e di Taso. Concorrevano perciò tutti i motivi politici, commerciali e morali per decidere i Romani ad intraprendere una seconda guerra contro Filippo, che fu una delle più giuste che Roma abbia mai fatto. E ridonda in sommo grado ad onore del senato, ch'esso vi si sia immediatamente determinato, e che non se ne sia lasciato distogliere nè dall'esaurimento delle pubbliche finanze, nè dall'impopolarità di una tale dichiarazione di guerra.
Il governo prese quindi le sue misure; e già nel 553=201 il pretore Marco Valerio Levino comparve nel mare di oriente colla flotta siciliana composta di 38 vele. Esso era però imbarazzato nel trovare il pretesto plausibile, di cui abbisognava necessariamente in faccia al popolo, quand'anche non fosse stato troppo perspicace per sprezzare, a modo di Filippo, l'importanza della motivazione legale.
L'aiuto, che si riteneva Filippo avesse prestato ai Cartaginesi dopo la pace conclusa con Roma, non si poteva naturalmente provare.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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