Alla prima comunicazione la proposta fu respinta quasi all'unanimità: tribuni del popolo stolti o maligni lamentavano che il senato non voleva concedere alcun riposo al popolo. Ma la guerra era divenuta ormai una necessità, e, considerate attentamente le cose, era già incominciata, in modo che il senato non poteva assolutamente indietreggiare. A forza di spiegazioni e di concessioni, i cittadini si decisero ad acconsentirvi.
È da osservarsi che queste concessioni furono fatte sostanzialmente a spese degli alleati. I presidii della Gallia, dell'Italia inferiore, della Sicilia e della Sardegna, che ammontavano a circa 20.000 uomini, furono, in assoluto contrasto alle solite massime dei Romani, prelevati esclusivamente dai contingenti degli alleati stessi. Tutte le truppe cittadine, che dalla guerra annibalica in poi si trovavano sotto le armi, furono licenziate. Nella guerra macedone non si dovevano quindi impiegare che volontari, i quali, come poi si verificò, furono per la maggior parte volontari forzati, ciò che nell'autunno del 555=199 fece nascere una seria sollevazione militare nel campo d'Apollonia.
Dei soldati nuovamente chiamati sotto le armi si formarono sei legioni, due delle quali rimasero a Roma, due furono inviate nell'Etruria e due imbarcate a Brindisi sotto il comando del console Publio Sulpicio Galba colla destinazione per la Macedonia.
E così una volta ancora fu dimostrato che per le complicate e difficili condizioni nelle quali si trovavano i Romani in seguito alle loro vittorie, le assemblee popolari sovrane, colle loro decisioni così poco accorte e dipendenti dal caso, assolutamente più non convenivano, e che il rovinoso loro immischiarsi negli affari pubblici conduceva a dannose modificazioni delle misure necessarie dal punto di vista militare e ad una trascuratezza ancor più pericolosa dei confederati latini.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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