L'esercito di Filippo, dopo aver tratto a sè il corpo destinato a presidiare i passi del settentrione, contava circa 20.000 fanti e 20.000 cavalieri, l'esercito romano era press'a poco di egual forza.
I Macedoni avevano il grande vantaggio che, combattendo nel proprio paese e conoscendone ogni via, anzi ogni sentiero, si procacciavano facilmente i mezzi di sussistenza, mentre i Romani, per aver posto il loro campo tanto vicino a quello del nemico, non potevano senza imprudenza allontanarsi di molto per approvvigionarsi.
Il console offrì ripetutamente battaglia, ma il re la rifiutò costantemente, e i combattimenti tra le truppe leggere, sebbene i Romani ne riportassero dei vantaggi, non conducevano a nessun risultato decisivo.
Galba fu costretto a levare il campo ed a piantarne un altro presso Octofolo, alla distanza di un miglio e mezzo, dove egli credeva di potersi più facilmente procacciare i mezzi di sussistenza.
Ma anche qui i distaccamenti mandati a foraggiare furono distrutti dalle truppe leggere e dalla cavalleria macedone; si dovettero chiamare in aiuto le legioni, le quali naturalmente respinsero nel campo, con gravi perdite, la avanguardia macedone che se ne era troppo allontanata, ed in questo scontro il re stesso perdette il suo cavallo e non ebbe salva la vita se non per il generoso sacrificio di uno dei suoi cavalieri.
I Romani uscivano salvi da così pericolosa posizione, in grazia dei migliori successi che Galba seppe procacciarsi cogli attacchi secondari dei suoi alleati, o a dir meglio, per la debolezza dell'esercito macedone.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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