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      Egli operò la sua ritirata con tale destrezza, che Galba, il quale concepì la temeraria risoluzione d'inseguirlo, ne perdette le tracce, e Filippo potè, battendo vie laterali, aggiungere ed occupare la gola che separa la Lincestide dall'Eordea per attendervi i Romani e preparar loro una dura accoglienza.
      Si venne a battaglia nel luogo da lui scelto, ma le lunghe lance macedoni si dimostrarono inservibili su un terreno boscoso ed ineguale; i Macedoni furono aggirati, rotti, e soffrirono gravi perdite.
      16. Ritorno dei Romani. Sebbene l'esercito di Filippo, dopo l'infausto combattimento, non fosse più in grado di contendere lungamente ai Romani l'ulteriore avanzata, a questi non bastò l'animo di proseguire la loro marcia in un paese nemico ed impraticabile e di andare incontro ad ignoti pericoli. Si ritirarono quindi in Apollonia, dopo aver devastato le fertili province dell'alta Macedonia, Eordea, Elimea, Orestide, ed aver assoggettata Celera, la più importante città dell'Orestide (ora Castoria, su una penisola del lago omonimo), l'unica città macedone che aprisse le porte ai Romani.
      Nel paese illirico era stato preso d'assalto Pelio, città dei Dassareti, posta sul confluente superiore dell'Apso; vi si pose poi un forte presidio perchè servisse di base per una simile invasione avvenire.
      Nella sua ritirata, Filippo non molestò l'armata principale dei Romani, ma si volse a marce forzate contro gli Etoli e gli Atamani - i quali, nella supposizione che le legioni tenessero a bada il re, saccheggiarono e devastarono arditamente e senza alcun ritegno la bella valle del Peneo - li sconfisse e costrinse quelli che non caddero a mettersi in salvo alla spicciolata per i noti sentieri delle montagne.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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