Abile ufficiale e migliore diplomatico, sotto molti aspetti era forse adattissimo per la trattazione dei gravi affari della Grecia; ma per Roma e per la Grecia stessa sarebbe forse stato meglio che la scelta fosse caduta su un uomo meno invaso da simpatie elleniche, e che vi fosse stato inviato un generale, il quale non si fosse lasciato sedurre nč da lusinghe, nč irritare da satire mordaci, e che non avesse obliato la miserabile condizione delle costituzioni degli stati ellenici per le loro memorie letterarie ed artistiche, e avesse trattato la Grecia come meritava di essere trattata risparmiando ai Romani gli sforzi per aspirare ad ideali irraggiungibili.
Il nuovo comandante in capo ebbe subito un abboccamento col re, mentre i due eserciti stavano ancora inoperosi l'uno di fronte all'altro.
Filippo fece delle proposte di pace; si dichiarņ pronto alla restituzione di tutte le conquiste fatte ed a sottomettersi ad un equo arbitro sui danni cagionati alle cittą greche; ma le trattative furono rotte quando si pretese ch'egli rinunciasse agli antichi possedimenti macedoni e particolarmente alla Tessalia.
Quaranta giorni stettero i due eserciti inattivi nella gola dell'Aoo; Filippo non volle cedere e Flaminino non seppe risolversi ad ordinare l'assalto lasciando il re e ritentando la spedizione dell'anno precedente.
A togliere dall'imbarazzo il generale romano venne il tradimento di alcuni fra i pił nobili Epiroti, i quali in generale tenevano per la Macedonia, e particolarmente il tradimento di Carope.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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