Nel senato romano era stato da lungo tempo stabilito che la Macedonia dovesse rinunciare a tutti i suoi possedimenti esterni. Quando gli ambasciatori di Filippo arrivarono a Roma si chiese loro soltanto se avevano facoltà di rinunciare a tutta la Grecia e particolarmente a Corinto, Calcide e Demetriade; sulla loro risposta negativa si troncarono subito le trattative e si decise di proseguire energicamente la guerra.
Coll'appoggio dei tribuni del popolo riuscì al senato di evitare la nociva sostituzione del comandante supremo e di prolungare la durata in carica di Flaminino, a cui furono inviati ragguardevoli rinforzi, ordinando ai due precedenti comandanti Publio Galba e Publio Villio di mettersi sotto i suoi ordini.
Anche Filippo decise di tentare un'altra volta la fortuna in una battaglia campale. Per assicurarsi la Grecia, ove allora tutti gli stati, ad eccezione degli Acarnani e dei Beoti, erano in armi contro di lui, fu aumentato a 6.000 uomini il presidio di Corinto, mentre egli stesso, raccogliendo le ultime forze dell'esausta Macedonia, ed ingrossando la falange coll'arruolare e ragazzi e vecchi, mise in piedi un esercito di circa 26.000 uomini, di cui 16.000 falangisti macedoni.
Così cominciò nel 557=197 la quarta campagna.
Flaminino mandò una parte della flotta contro gli Acarnani, i quali furono bloccati in Leucade; nella Grecia propriamente detta si impadronì con arte di Tebe, capitale della Beozia; per cui i Beoti si videro obbligati ad accedere, almeno di nome alla lega contro la Macedonia.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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