Ma qui i Macedoni trovarono l'aiuto di tutta la loro cavalleria e della maggior parte della fanteria leggera. I Romani, che si erano imprudentemente inoltrati, furono respinti con gravi perdite sino al loro campo, e si sarebbero volti in piena fuga, qualora la cavalleria etolica non avesse alimentato il combattimento nella pianura fino a tanto che Flaminino potè accorrere colle legioni ordinate in tutta fretta.
Al furibondo grido delle truppe vittoriose, che chiedevano la continuazione del combattimento, il re cedette ed ordinò in fretta anche i falangisti alla battaglia, che in quel giorno non era attesa nè dal comandante nè dai soldati.
Si trattava di occupare la collina, che in quel momento era sguarnita di truppe.
L'ala destra della falange, condotta dal re stesso, vi arrivò in tempo per porsi a tutt'agio sul culmine; la sinistra era ancora indietro quando le truppe leggere dei Macedoni, spaventati dalle legioni, salirono in fretta e in furia la collina. Filippo spinse rapidamente le schiere dei fuggitivi lungo la falange del centro e, senza attendere che Nicanore fosse arrivato sull'ala sinistra coll'altra metà della falange che avanzava più lentamente, comandò che la falange destra discendesse la collina colle lance in resta e si gettasse sulle legioni, mentre nello stesso tempo la riordinata falange leggera le aggirava ed attaccava di fianco.
L'attacco operato dalla falange, che su un terreno favorevole era irresistibile, sbaragliò la fanteria romana e sconfisse completamente la sua ala sinistra.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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