Il re fu trattato con tutti i possibili riguardi, e dopo d'essersi dichiarato pronto ad accettare ora le condizioni che gli erano state fatte prima, gli fu da Flaminino accordato, verso pagamento d'una somma in denaro e verso la consegna di ostaggi - fra i quali il proprio figlio Demetrio - un più lungo armistizio, di cui Filippo aveva urgente bisogno per scacciare i Dardani dalla Macedonia.
L'ordinamento definitivo degli intricati affari greci fu dal senato affidato ad una commissione composta di dieci membri, presidente ed anima della quale fu ancora Flaminino. Da questa commissione furono concesse a Filippo condizioni eguali a quelle fatte a Cartagine.
Il re macedone perdette tutti i possedimenti esterni dell'Asia minore, della Tracia, della Grecia e delle isole egee; rimase invece intatta la Macedonia, eccettuati alcuni insignificanti luoghi confinari e la provincia d'Orestide che fu dichiarata libera - stipulazione che riuscì assai dura per Filippo, ma che i Romani non potevano fare a meno di imporgli, poichè col suo noto carattere era impossibile lasciargli sottoposti sudditi che si erano già ribellati contro di lui.
Filippo si obbligò inoltre di non concludere alcuna alleanza estera all'insaputa dei Romani, a non inviare presidî fuori dello stato, a non guerreggiare fuori della Macedonia contro stati civilizzati, e in generale contro gli alleati dei Romani, a non tenere oltre 5.000 uomini sotto le armi, a non mantenere elefanti, e a non avere più di cinque vascelli coperti, consegnando gli altri ai Romani.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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