Si venne a battaglia sotto le mura della città, a cui fu dato l'assalto; era questo già riuscito, allorchè il fuoco appiccato nelle contrade espugnate costrinse i Romani a ritirarsi. Finalmente però l'ostinata resistenza fu vinta.
Sparta conservò la sua indipendenza e non fu obbligata nè a riammettere gli emigrati entro le sue mura, nè ad accedere alla lega achea; fu lasciata intatta persino la vigente costituzione monarchica, e Nabida stesso rimase al suo posto.
Ma egli dovette però cedere i suoi possedimenti esterni, Argo, Messene, le città cretesi e tutta la costa; dovette obbligarsi a non stringere leghe coll'estero e a non intraprendere guerra, a non tenere altre navi che due vascelli scoperti, a riconsegnare finalmente tutte le prede da lui fatte, a dare ostaggi ai Romani ed a pagare una contribuzione di guerra.
Le città poste sulla costa della Laconia furono assegnate agli emigrati spartani, ed a questo nuovo comune popolare, che per antitesi agli Spartani retti monarchicamente si chiamò dei «liberi Laconi», fu imposto di entrare nella lega achea.
Gli emigrati non riebbero i loro beni, considerandoli compensati col paese loro assegnato; fu però stabilito che le loro mogli e i loro figli non dovessero essere trattenuti in Sparta contro la loro volontà.
Sebbene gli Ateniesi, per tali disposizioni, acquistassero con Argo anche i «liberi Laconi», pure erano poco contenti; essi si attendevano di vedere allontanato il temuto ed odiato Nabida, ricondotti gli emigrati ed allargata la simmachia achea su tutto il Peloponneso.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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