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      La pace fra i piccoli stati della Grecia, per lo meno esteriormente, era fatta. Ma le condizioni interne dei singoli comuni occupavano ancora non poco la mente dell'arbitro romano.
      I Beoti manifestavano apertamente le loro simpatie macedoniche anche dopo la cacciata dei Macedoni dalla Grecia; dopo che Flaminino, per aderire alle loro preghiere, aveva permesso ai Beoti che avevano servito sotto le insegne di Filippo di ritornare in patria, essi elessero Brachilla, il più deciso fautore dei Macedoni, a capo della federazione beota, e irritarono Flaminino in ogni altro modo possibile.
      Il duce romano tutto sopportava con una longanimità senza pari; ma quei Beoti che parteggiavano per i Romani, e che sapevano che cosa dovessero attendersi, dopo la loro partenza, decisero di dar morte a Brachilla, e Flaminino, a cui credettero doversi rivolgere per ottenerne il permesso, per lo meno non disse di no.
      Brachilla fu quindi spacciato. I Beoti, però, non contenti di perseguire gli assassini, spiarono anche i soldati romani che percorrevano isolati il loro territorio e ne uccisero in questo modo 500.
      Ciò oltrepassava ogni limite; Flaminino inflisse loro la multa di un talento per ogni soldato ucciso, e non avendola essi pagata, raccolse le truppe accantonate nelle vicinanze e strinse d'assedio Coronea (558=196). Essi ricorsero allora alle preghiere; e Flaminino, dietro intercessione degli Achei e degli Ateniesi, accordò loro il perdono riducendo la multa ad una modica somma a carico dei rei; e sebbene in quel piccolo paese rimanesse tuttora il partito macedone al timone dello stato, i Romani non contrapposero alla puerile sua opposizione se non la longanimità di chi si sente il più forte.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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