I Romani avevano, sotto questo aspetto, tutte le ragioni di accondiscendere alla richiesta dei loro alleati e d'intervenire direttamente in Asia; ma essi non vi si mostrarono molto inclinati. Non solo indugiarono sino a che durò la guerra macedone e non accordarono ad Attalo altro soccorso che quello della diplomazia, che del resto sulle prime si mostrò efficace; ma, anche dopo la vittoria, dichiararono bensì che le città, già in potere di Tolomeo e di Filippo, non dovevano passare sotto il dominio di Antioco - l'indipendenza delle città asiatiche Abido, Scio, Lampsaco e Mirina(1) figurava negli atti dei Romani -; ma nulla fecero per farla rispettare e lasciarono che Antioco approfittasse della buona occasione della partenza dei presidî macedoni per farvi entrare le sue truppe.
E le cose giunsero a tal segno ch'egli potè, persino, nella primavera del 558=196 sbarcare in Europa e invadere il Chersoneso tracico, ove occupò Sesto e Madito, fermandovisi a lungo a punire i barbari della Tracia ed a restaurare la distrutta Lisimachia da lui prescelta come piazza forte principale e capitale della novella satrapia da lui fondata.
Flaminino, il quale era incaricato della direzione di questi affari, mandò bensì ambasciatori al re di Lisimachia, i quali parlarono dell'integrità del territorio egiziano e della libertà di tutti gli Elleni, ma le loro parole furono gettate al vento.
Il re parlò a sua volta dell'incontestabile diritto che egli aveva all'antico regno di Lisimaco conquistato dal suo avo Seleuco; dichiarò che egli non voleva conquistare terre, ma solo si sforzava di mantenere l'integrità del regno avito e declinò la mediazione romana nelle sue contese con le città soggette dell'Asia minore.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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