Non è giustificato soprattutto, il biasimo contro questa spedizione; essa fu piuttosto, dopo che lo stato romano si era immischiato negli affari ellenici, una conseguenza necessaria di tale politica.
Certo, si può mettere in dubbio se il patronato generale ellenico fosse per Roma il mezzo migliore; ma, considerato dal punto di vista di Flaminino e della maggioranza che lo seguiva, l'abbattimento dei Galati era un dovere di prudenza e d'onore.
Più fondato è il rimprovero che in quel tempo mancasse una vera ragione di guerra contro gli stessi, poichè non erano mai stati veramente alleati di Antioco, ma, secondo il loro uso, gli avevano solo lasciato arruolare nel loro paese truppe mercenarie. Ma contro questo prevaleva decisamente il fatto che l'invio di truppe romane in Asia non poteva avere la tacita approvazione della cittadinanza romana fuorchè in circostanze straordinarie, e se pure un giorno si fosse resa necessaria tale spedizione, era implicito che si dovesse eseguire con l'esercito vittorioso che era già nell'Asia.
Così fu intrapresa, senza dubbio sotto l'influenza di Flaminino e dei suoi partigiani nel senato, nella primavera del 565=189, la campagna nell'interno dell'Asia minore.
Il console partì da Efeso, mise a contributo senza misura le città e i sovrani sul Meandro e in Pamfilia, e si diresse quindi a settentrione verso i Celti.
Gli abitanti del cantone occidentale, i Tolistoagi, si erano ritirati sul monte Olimpo, con tutte le loro cose, e i Tettosagi, che erano nel cantone di mezzo, sul monte Magaba, nella speranza che si sarebbero potuti difendere, finchè l'inverno costringesse gli stranieri a partire.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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